Il mio lavoro con la famiglia 1

Dinamiche psicologiche, relazionali e comunicative nel processo educativo:

l’incidenza della qualità nel rapporto genitori-figli

v Da 20 anni mi occupo e mi interesso, del rapporto genitori-figli prima come educatrice di asilo nido, insegnante di scuola materna, educatrice di minorati sensoriali e insegnante di scuola elementare; poi come psicologa e psicoterapeuta. Per tale ragione ho voluto approfondire gli studi con diversi master e corsi di specializzazione perché, nel corso degli anni, ho constatato quanto sia fonte di disagio, per i genitori nell’educare i figli e nella relazione con essi, la scarsa e a volte nulla, conoscenza a volte di se stessi, a volte dei figli stessi.

v  Proprio per questo, ho capito e notato che la conoscenza delle necessità e dei bisogni propri e dei figli –appunto- può esser di sostegno e incoraggiamento in quella che io, ma non solo io, definisco un’ARTE.

Un’arte che, tuttavia, non si riceve come scienza infusa e che non è data una volta per tutte: non si nasce genitori, né automaticamente lo si diviene nel momento in cui nascono dei figli se non dal punto di vista anagrafico e affettivo. La capacità, la possibilità, la facilità, in qualche modo, di procreare non è, automaticamente, sinonimo della capacità e facilità d’essere genitori, nel senso stretto del termine.

v   Sicuramente, per quel che attiene al punto di vista educativo e relazionale, tutto cambia. Per diventare insegnanti ed educatori da sempre esistono corsi di studio anche universitari, percorsi costruiti ad hoc, con i relativi tirocini che prevedono dei supervisori cui fare riferimento, coi quali confrontarsi e ai quali chiedere supporto, conferme e suggerimenti.

v Per divenire genitori no: e sì che se nel primo caso – a mio parere e sempre per esperienza personale – è sicuramente più semplice acquisire determinate competenze [ma mi riferisco qui a quelle prettamente educative, poiché quelle relazionali difficilmente si possono imparare una volta per tutte] e, per certi aspetti, mantenerle inalterate; nel secondo caso, ossia nel caso dei genitori, è senz’altro più complesso.

Ma qual è la differenza?

v La differenza è davvero “semplice”, ma nel contempo assai complessa, poiché, davvero, va a toccare molteplici aspetti e tutti tra loro strettamente correlati e interrelati, ma sicuramente riconducibili ad un’unica peculiarità: l’affettività.

v L’implicazione affettiva, l’essere coinvolti dal punto di vista emotivo, cambia completamente il punto d’osservazione, cambia completamente le lenti degli occhiali coi quali ci si ritrova a guardare e osservare le situazioni familiari. È sicuramente molto difficile mantenere l’oggettività quando si è coinvolti emotivamente, no?

Sovente capita, quando ci troviamo coinvolti, in particolare, in situazioni che toccano anche aspetti emotivi che comportano scelte, decisioni per le quali abbiamo da rimanere legati a dati di realtà, di sforzarci e, per certi aspetti anche di essere convinti, di mantenerci “oggettivi”, poiché ci sforziamo di mettere da parte emozioni e sentimenti, per riuscire a stare sul “razionale”. Ma è anche vero che, di fatto, una parte seppur minima di soggettività proprio legata alla sfera emotiva, ai nostri desideri e bisogni si “insinua”. In altre parole e per dirla con F. Perls (padre della terapia della Gestalt), non esiste l’oggettività, in quanto nell’esser oggettivi siamo, sempre e comunque, soggettivi, perché anche nei dati di realtà ci mettiamo ciò che attiene a noi stessi: alla nostra personale percezione delle cose e al nostro personale modo di interpretare la realtà stessa, influenzata dalle nostre arcaiche esperienze di vita, alle nostre credenze e convinzioni.

E questo è ancor più vero in riferimento alla relazione tra genitori e figli.

v  La colorazione affettiva che assume la relazione genitori-figli è altro e non è solo una, in effetti, perché è come se si trattasse di un prisma estremamente sfaccettato il quale rimanda colori diversi, ora più intensi ora più tenui; ora singoli e distinguibili ora molteplici e confondibili con altri, in base a come lo si pone, alla posizione che assume e in base al modo in cui lo si guarda.

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